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lunedì 2 maggio 2011

Le Botteghe della Ceramica Sonora - Le Sculture fischianti del gruppo Sprout

“Il seme, sepolto nella terra, apparentemente muore, ma ogni primavera si ridesta a nuova vita per dare vivi frutti.” E’ questo l’incipit del Manifesto del gruppo Sprout, sodalizio artistico tra due talentuosi ceramisti con un’autentica passione per la ceramica sonora: Denis Imberti e Stefano Tasca.
Tra i costruttori di fischietti in terracotta, quella del gruppo Sprout è senza dubbio un’esperienza singolare da molti punti di vista: per l’originalità dei loro pezzi, per la giovane età dei suoi membri, e per la stessa scelta di presentarsi come collettivo.

E’ Denis a spiegarci come nasce Sprout ed il perché della scelta di questo nome: “Sprout – che significa germoglio in inglese - è nato nel 2008. Io e Stefano venivamo da un’altra esperienza che è durata 7 anni, quella del gruppo Seme, fondato da noi due con un altro ceramista. Il gruppo si è sciolto per motivi disparati, che non stiamo neanche qui a sondare. Si è deciso che il seme si era rotto, e ci siamo detti: qui o spunta il germoglio o si muore. E abbiamo provato a far spuntare il germoglio io e lui .
La nostra idea è comunque di ragionare in prospettiva, per cui tra 7 anni fonderemo un altro gruppo che sarà l'evoluzione del germoglio. Il 7 d'altronde è anche un numero particolare: pensiamo ad esempio al ciclo di rigenerazione delle cellule; ed è anche un numero mistico, magico
”.

La scelta di lavorare come gruppo, nasce dall’esigenza di un continuo confronto artistico, nella convinzione che questo possa favorire un arricchimento reciproco e rappresentare un valore aggiunto dal punto di vista creativo. Racconta Stefano: “Noi non abbiamo questa esigenza dell’individualità, per cui chi di noi idea un pezzo se lo deve finire da se. Invece tra noi c’è proprio questa versatilità di ruoli, che si intrecciano continuamente. Nella costruzione di un pezzo succede spesso che Denis si occupi della forma, e poi magari intervenga io con la pittura. O vice versa. E poi un pezzo viene fatto a più mani, anche dal punto di vista progettuale”.

Denis e Stefano sono ceramisti completi e tecnicamente capaci. Spesso lavorano su pezzi di medie e grandi dimensioni, ma sempre fischianti. Per loro non esiste insomma la distinzione fatta da molti loro colleghi ceramisti tra fischietto e scultura, tra oggetto fatto in serie a cui aggiungere il modulo sonoro e pezzo importante: “I nostri pezzi suonano tutti. Nel nostro lavoro il fischietto è un fattore centrale. Non è un fatto accessorio, o una firma, fa parte proprio dell’opera. In quasi tutte le culture vi è l’immagine di Dio che soffia nel fango e da la vita. Quindi il fischio è per noi una sorta di immagine della creazione”.

Tra arte e artigianato
I fondatori di Sprout sono ben consapevoli delle difficoltà che deve affrontare chi voglia fare ceramica oggi. Difficoltà che non sono legate solamente al preoccupante calo di interesse e investimenti pubblici e privati in campo artistico, ma anche a una sorta di pregiudizio che colpisce da sempre la ceramica in quanto tale. Rispetto a chi dipinge ad olio o scolpisce in marmo, ad esempio, il ceramista viene immediatamente associato alla figura dell’artigiano piuttosto che a quella dell’artista.

Denis: “E’ difficile fare ceramica oggi, c'è poca considerazione, sensibilità. Noi andiamo avanti senza finanziamenti, per passione. Facciamo anche altri lavori, dobbiamo auto finanziarci, cercare di trovare degli sbocchi. Non è facile però insomma lo si fa perché ti sostiene la passione. Una passione porta con se tutte le conseguenze negative che ogni passione ha. Può anche essere molto distruttiva. E porta anche delle conseguenze positive: ti da una grande energia.

Poi c'è tutta una ambiguità legata allo scambiare la ceramica per il lavoro del fare le stoviglie, sopratutto in questa terra dove si è prodotto molto dal punto di vista industriale. Ci troviamo su un terreno molto confuso a metà tra l'arte e l'artigianato: gli artigiani ti dicono che sei un artista, e gli artisti che sei un artigiano. Ognuno cerca di scalzarti dal proprio posto
”.

I maestri del Germoglio, da Picasso a Rigon
Durante la nostra chiacchierata, il gruppo Sprout non trascura di rendere un riconoscimento sia a coloro che sono stati i suoi maestri diretti che agli artisti che hanno fatto comunque da punto di riferimento per la sua crescita artistica:

Denis: “Abbiamo fatto l'Istituto d'Arte di Nove, e di questa scuola vogliamo sicuramente menzionate due figure. La principale l’insegnante che ci ha attaccato questa “malattia” del soffio nella creta, che è Francesco Rigon. Anche lui è un costruttore di fischietti, per me uno dei più bravi.
L'altra figura importante è stata per noi Antonio Bernardi, un artista anche lui della zona. Fa fischietti ma non principalmente. Ci hanno dato un po’ il segno, il solco del percorso.

Indirettamente abbiamo preso molto anche da Federico Bonaldi, anche perché lo stesso Rigon tra i grandi maestri della tradizione novese, come Pianezzola, Tasca e Bonaldi, predilige quest’ultimo. Per i suoi fischietti non si è ispirato tanto all’operazione di Tasca di usare la trafila, quindi il mezzo meccanico, per fare cose artistiche. Né a quella di Pianezzola che è molto legata a certe sperimentazioni anche con il colore. E’ più legato all’esperienza di Bonaldi, quindi alla tradizione popolare. Ovviamente con un suo personale percorso di innovazione.

In senso più ampio le nostre figure di riferimento sono senz’altro Picasso ma poi anche Gaudì. Ultimamente anche Arcimboldo e Bosch, anche se riletti in una maniera particolare
”.

Reimparare ad usare le mani
Il Manifesto del gruppo parla di un tentativo di “superamento della ormai cinquantennale dittatura del manierismo della Pop Art e dei suoi derivati” e di una esigenza di “tornare a re-imparare l’antico lavoro manuale” senza fari scudo di “presunte superiorità del mondo intellettuale su quello manuale.”

Denis: “Oggi architetti e designer non sanno fare gli oggetti, se li fanno fare dagli artigiani. Si appropriano di cose che non hanno fatto loro, e magari hanno anche la sfacciataggine di firmare il pezzo: per esempio vanno in India, si fanno fare un manufatto, e lo ripropongono qua. Questo crea uno scollamento enorme, perchè va a finire che chi progetta non conosce più i limiti e le possibilità che ha la materia.

Il nostro tentativo è allora quello di generare una sorta di Neo-Rinascimento. Anche il Rinascimento è nato da abilità artigianali, perchè Michelangiolo era uno scalpellino, e lo stesso Caravaggio - che io ritengo ancora facente parte del Rinascimento più che del manierismo - era un decoratore di fiori. Questo non per fare i difensori del lavoro manuale a tutti i costi, ma credo che oggi si debba ripartire da qua, perché l’arte adesso è in una situazione di sovra-concettualizzazione. Siamo arrivati a concettualizzare anche il non senso, il niente. All’inizio questo non-senso concettualizzato aveva motivi anche di provocazione e di contestazione politica. Ma ora mi sembra che sia solo frutto di una certa faciloneria nel ripetere quello che è stato fatto da decenni anni a questa parte. La pop art di Andy Warhol avrà ormai 60 anni!

Questa iperconcettualizzazione può portare quasi a un nichilismo artistico, ad un’implosione della sensibilità. Rischi che ti blocchi, ti inibisci e non fai più nulla. Ti sale l’angoscia della pagina bianca. Credo si debba partire facendo un lavoro manuale, e poi riflettere nel mentre lo si fa e dopo che lo si fa, non prima. E quindi bisogna ricominciare a fare: bisogna ricominciare a piantare il peperoncino e non andarlo a comprare al supermercato, questo è il senso. E poi bisogna capire che la pianta ha bisogno di tempo, capire che la ceramica non si fa in un giorno ma si fa in 5, 6, 7, 8 mesi. Non siamo contro il concetto, ma contro a una sorta di manierismo che ormai ha assunto l’arte concettuale, che si ripete ormai da 60 anni a questa parte.
Quindi nel nostro processo creativo a far da padrone non è mai la mente ma il lavoro, la mano. Nel senso che quando lavori la terra, è la terra stessa a dirti: puoi arrivare fino a qua, puoi fare questo
”.

E probabilmente non è un caso se la casa che il Gruppo sta restaurando per farne il proprio laboratorio – in località Pozzoleone, nelle campagne del bassanese – è stata costruita personalmente dal Bisnonno di Denis. “Costruita con una sola mano” – precisa lui – “perchè nella prima guerra mondiale era stato colpito al polso”.

Tra arte globale ed elettronica
Centrale nell’esperienza percorso di Sprout – e prima ancora del gruppo Seme – è il percorso di ricerca che spazia tra forme e stili che vanno al di là del tempo e dello spazio, anche come forma di superamento dell’etnocentrismo occidentale.

Denis: “Picasso è stato il primo a rendersi conto che bisognava uscire dal solco dell’occidente, e quindi andare verso un’arte - mi si perdoni il termine - globale. Ora che siamo davvero in un mondo globalizzato perchè non sfruttarne gli aspetti positivi? Perché non cominciare a contaminare tutti gli stili del mondo?

L’arte africana non è ancora per certi aspetti definita tale, non è ancora catalogata e protetta. Ma se uno si ponesse il problema di inventare un naso, sappiamo che nell’arte africana c’è un serbatoio di creatività, di forme e di nasi che l’occidente a confronto appare veramente povero. Quindi credo che sia il momento per l’occidente e non solo di cominciare a incontrarsi, di cominciare a fare dei matrimoni multietnici dal punto di vista artistico. E già tutto il percorso del Gruppo Seme è stato un percorso di ricerca sull’arte mondiale, sulla contaminazione tra le arti e sulla trasformazione filtrata con la ceramica
”.

Stefano: “Ad esempio per una scultura possiamo ispirarci all’arte precolombiana o africana, o ad altre cose magari mescolate insieme. Questo è un prototipo che abbiamo fatto di una scultura dedicata al mare. Per la forma abbiamo preso spunto da un’ancora pre-romanica. Si trattava di ancore arcaiche fatte di pietra. E noi abbiamo usato questa forma riprendendo anche una decorazione di una pavimentazione romana che ricorda il movimento dell’onda. E’ venuta fuori questa statua che adesso vorremmo proporre a qualche città di mare per fare una scultura di tre metri. Sempre fischiante, facciamo fischiare tutto noi!”

Nel corso degli ultimi anni l’interesse per i modelli di altre culture e di altre epoche si è fuso con quella che il gruppo chiama “fascinazione” di oggetti provenienti dal mondo dell’elettronica, trasfigurati e trasformati all’interno delle loro sculture fischianti.

Denis: “Adesso stiamo facendo un’operazione un po’ diversa, che rappresenta poi la differenza fondamentale tra il gruppo Seme e il gruppo Sprout. Si tratta di fare entrare l’elettronica nell’arte, cosa che in Italia ha già fatto ad esempio Battiato in campo musicale.

Spesso ci siamo trovati di fronte ad oggetti di uso comune - ingranaggi, apparecchiature elettriche - che istantaneamente ci creano una fascinazione. Come un bambino che guarda la nuvola e ci vede una pecora, noi quando ci troviamo di fronte un ingranaggio oppure ad un chip, ci vediamo un volto, o un pezzo di corpo. L’idea che seguiamo non è però quella della de-contestualizzazione di Duchamp, ovvero l’operazione di prendere un ingranaggio di una macchina e metterlo fuori contesto. Il processo che cerchiamo di seguire è quello di trasformarlo, e questo attraverso il lavoro manuale e anche attraverso i limiti che la ceramica stessa ci pone. Ad esempio se io prendo un circuito da un vecchio libro di elettronica so che alcune cose con la ceramica non le posso riprodurre. Non solo, ma nel leggere quella immagine la mia stessa mente già elabora una semplificazione, procede alla scomposizione degli elementi, alla loro trasformazione, alla loro elaborazione
.

Così, dopo aver fondato il gruppo Sprout abbiamo cambiato il punto di vista della ricerca. Mantenendo però il tipo di percorso: non è che abbiamo perso interesse per l’arte del mondo: c’è una contaminazione tra le due ricerche, ovviamente.

Ad esempio questo fischietto è una contaminazione tra una figura Maya nella parte superiore, e nella parte inferiore una sintesi, un’astrazione di una spina internazionale che aveva mio fratello.
Oppure quest’altro pezzo: quando abbiamo fatto l’impianto elettrico del laboratorio abbiamo trovato questa forma qua in una scatola di congiunzione. Siamo rimasti affascinati e abbiamo pensato: questo è quasi un volto meccanico. E abbiamo fatto questo fischietto dandogli una interpretazione coloristica particolare.”

Assemblatori di ingredienti altrui
Un'altra convinzione forte del Gruppo sta nel fatto che l’atto creativo non consista tanto nel creare qualcosa di nuovo, ma piuttosto nel riprendere e rielaborare in base alla propria sensibilità tecniche e stili di artigiani ed artisti che ci hanno preceduto – a loro volta forse copie o rielaborazioni di altre e più antiche fonti.

Denis: “Noi siamo come dei compositori: non abbiamo bisogno di inventare le note per fare la musica, ma di metterle insieme. Ad esempio possiamo coniugare una forma Maya con un labirinto preso da una cattedrale francese e con lo studio di una foglia d’edera. Anche Socrate con la maieutica faceva crescere dentro ai suoi allievi, compagni, interlocutori, una idea autonoma, che lui stesso non aveva mai avuto. Questo ci porta anche a capire che quello dell’originalità - problema ossessivo dell’occidente - è un falso problema.

Le opere di Omero o Shakespeare sono il risultato di un precipitato di oratori e poeti che hanno inventato storie e le cantavano. A un certo punto loro hanno attinto a questo serbatoio facendone delle opere d’arte.
L’arte ripete sempre il passato perché è legata col passato. La semplice operazione che un artista deve fare è rielaborarlo, metterlo al passo con i tempi, non credere di avere un colpo di genio di punto in bianco, senza spunti, per poi magari accorgersi di aver fatto una cosa già fatta 10 o 50 anni fa”.

Stefano: “Si, questa dell’originalità è un po’ una fissazione dei nostri tempi, che sono molto legati al concetto di novità. Quindi se fai qualcosa deve essere per forza nuovo, e di conseguenza c’è sempre la convinzione che l’ispirazione significhi creare ex novo”.

I nostri cuchi orfani
Singolare è la scelta dei titoli attribuiti ai pezzi realizzati, e soprattutto la modalità con cui questi vengono attribuiti a ciascuna opera.

Tra i titoli dei nostri cuchi troverai dei nomi e dei cognomi strampalati. Non ci sono opere che si chiamano “spazio infinito” o “frammenti”, ma piuttosto “Roy Lilin”, e cose di questo genere. Questo è per rivendicare che i pezzi una volta finiti non sono nostri. Hanno anche un cognome diverso dal nostro, acquisiscono una vita propria.

Questa operazione di nomina avviene in maniera dadaista, casuale. Prendiamo il Mereghetti, il dizionario di cinema, e componiamo cognomi e nomi aprendolo a caso. E’ una idea per staccare l’identità delle opere dalla nostra identità. E quindi è un’ idea che rimarca ancora di più il fatto che le opere sono una cosa e sono un percorso e il nostro è un altro. Non coincidono”.

Tra tradizione e innovazione
La proiezione verso l’arte del mondo non significa ovviamente disinteresse per la tradizione locale. Al contrario il Gruppo riprende e valorizza le tradizioni culturali e artistiche del territorio, viste non come una proiezione statica verso un passato idealizzato, bensì come testimonianza di radici solide da cui è possibile ripartire per un percorso di rinnovamento senza atteggiamenti di soggezione.

Denis: “Credo che il senso di un ritorno alla tradizione non stia in una adesione acritica o una idealizzazione di un passato che non c’è più. Questo ti può anche ingabbiare come in una bolla. Quindi non è che ci si deve fermare, bisogna arrivare a una re-invenzione della tradizione”.

Da notare che nonostante l’apparente vitalità della produzione di cuchi veneti, Stefano e Denis sono oggi tra i pochi produttori non anziani in circolazione.

Denis: “Quella dei cuchi rischia di essere una cosa che prima o poi si perderà. Siamo tra i pochissimi nel bassanese e vicentino sotto i 60-65 anni che li fanno con continuità. Credo che chi li fa una volta ogni anno o ogni due non si possa definire un costruttore di fischietti. In quei casi è un hobby”.

Tecniche ed alchimie ceramiche
Ovviamente le eclettiche sperimentazioni del Gruppo non si limitano alle forme, ma si estendono anche all’uso di materiali, colori, tecniche di cottura differenti.

Denis: “In alcuni pezzi usiamo materiale refrattario, in altri delle argille colorate. In alcuni casi abbiamo sperimentato la tecnica classica della ceramica smaltata, ma gran parte della produzione del Gruppo Seme è stata fatta con pittura a freddo, quindi con colori acrilici da noi auto prodotti con le polveri e con l’aggiunta di un collante. Abbiamo anche iniziato una sperimentazione con i colori ad olio.
A volte usiamo il forno a legna perché cerchiamo un effetto particolare, altre invece è un problema di dimensioni, perché per i pezzi grandi non ci sono forni a gas così alti. E’ molto difficile raggiungere le alte temperature in quei casi, considerato anche che dobbiamo arrivare non a 1.000 ma di 1.200-1250 gradi”.

Stefano: “Ad esempio qui a Nove c’è una scultura di 2 m fatta nel 2008 che sembra uno scarafaggio.. E’ un pezzo monolitico in ceramica ed è stato fatto con un forno a legna auto costruito. Siamo arrivati come temperatura a 1250 g. Lo abbiamo costruito noi e finita la cottura lo abbiamo smontato”.

Anche discutendo con il gruppo Sprout di tecniche di produzione, ritroviamo la consapevolezza che a volte è la materia a decidere per noi quale forma o quale colore definitivo debba avere un oggetto.
Denis: “La ceramica è un lavoro molto difficile, quasi più difficile che scolpire la pietra. Certo, lo scultore della pietra può solo togliere materia, mentre il plasmatore che usa la terra aggiunge e toglie a suo piacere. Però con la ceramica c’è l’elemento del fuoco, e con il fuoco tu chiudi il forno e non sai se ti viene fuori una cagata o una bella cosa. Se metti nel forno cose semplici viene fuori una reazione prevedibile, ma se cominci a fare delle forme complesse ci possono essere delle sorprese. E quel colore li che ti esce fuori non sarà mai riproducibile, perché non potrai ricreare le medesime condizioni”.

Stefano: “Ad esempio questa sorta di scimmia doveva uscire rosa. Mi ricordo benissimo: avevamo usato l’ossido di ferro, e quando lo usi ti viene fuori un rosa, o comunque un rosso mattone. Fatto sta che dopo la cottura nel forno a legna ci siamo trovati con questo verdino e proprio non riusciamo a capire il perché! La ceramica ha le sue alchimie!”

Note
Altre informazioni sul Gruppo e sulle sue opere sono reperibili al sito http://www.sproutarte.it/

Le foto, pubblicate per gentile concessione degli autori, si riferiscono nell’ordine alle opere seguenti:
1) Abel Falcon (cm 30 x 31 x 16) Colombino, Refrattario, Engobe, Forno a Gas 1040°, Sprout, 2008
2) Mina Robin's (cm 25 x 31 x 30) Colombino, Refrattario, Engobe, Forno a Gas 1040°, Sprout, 2008
3) Chloe Miho (cm 36 x 23 x 40) Modellazione a Mano, Refrattario, Acrilico, Forno a Gas 1040°, Seme, 2006
4) Roy Ilin Tree, 1° Classificato Vincitore della Mostra concorso Il Giardino Contemporaneo...sculture e istallazioni all'aria aperta nel paesaggio friulano (a cura di Mara Campaner) Country House Due Fiumi, Sacile: Pordenone, Sprout 2010
5) Robert Abbott, Modellazione a Mano, Refrattario, Acrilico, Forno a Gas 1040°, Seme, 2001
6) Gregor Samsa, Colombino, Refrattario, Engobe, Forno a Legna 1250°, Seme, 2007
7) Pasty Carole, Colombino, Refrattario, Engobe, Forno a Legna 1250°, Sprout, 2008.

I testi sono proprietà di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com, vietata la riproduzione.

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